In Italia fin dai tempi delle popolazioni preromane si ricordano gli antenati con riti che sono un misto di sacro e profano. Era uso diffuso, in questo periodo, accendere falò intorno ai quali si danzava e si mangiava, vestiti da angeli, diavoli o santi tutti uniti in questa celebrazione festosa, magica e un pò esorcistica.fucacoste-orsara-di-puglia

La chiesa cattolica, che faceva fatica a sradicare gli usi pagani, spostò la data della celebrazione di Ognissanti dal 13 maggio al 1°novembre. Successivamente fu istituita la commemorazione dei morti il 2 novembre. Peraltro questa data sembrerebbe riferirsi all’inizio del diluvio universale, dal racconto di Mosè e la genesi, nel "diciassettesimo giorno del secondo mese" per cui si voleva esorcizzare la paura del ripetersi di eventi simili.

In data del tutto identica anche gli antichi celti avevano “la notte di Samhain”, la notte di tutti i morti e di tutte le anime, che si festeggiava tra il 31 ottobre e il 1° novembre da cui trae origine la americana notte di Halloween ma siamo sicuri che le zucche a mo' di cranio sia un invenzione loro?

Partendo dall’estremo sud, in Sicilia, la festività dei morti ha una connotazione estremamente gioiosa specialmente per i bambini. Solo se sono stati buoni e hanno dedicato una preghierina ai defunti della pupi zuccarofamiglia, al loro risveglio troveranno, ben nascosto in qualche recondito angoletto della casa, un cestino con i “pupi di zuccaro”, castagne e dolcetti. Quindi grande gioia nella ricerca del cestino, e poi..frutta martorana e le “dita di apostolo”, ovvero delle superbe crepes arrotolate e ripiene di ricotta, tipiche della pasticceria palermitana. Altra grande tradizione della Festa dei Morti in Sicilia è mangiare i Tetù, ovvero dei biscotti fatti con un impasto di vaniglia e mandorle, ricoperti di glassa bianca o nera al cacao. Ma non finisce qui, spostiamoci a Catania, dove le Suore Vincenziane ogni anno, per questa ricorrenza, preparano gli ‘nzuddi, biscotti con cannella e mandorle. Buonissimi e dal sapore unico.Frutta martorana

In Calabria invece a Serra San Bruno, in provincia di Vibo Valentia, i ragazzini intagliano la zucca riproducendo un teschio, il Coccalu di muortu, con il quale girano per il paese dicendo: “Mi lu pagati lu coccalu?” (“Me lo pagate il teschio?”), una sorta di dolcetto o scherzetto in tutto simile al gioco anglosassone della notte di Halloween. Le fave dei morti erano la pietanza che veniva preparata in onore dei defunti e presentato come piatto principale nei banchetti funebri. Si credeva che le fave contenessero le anime dei morti questo perché, nel pensiero degli antichi, le radici della pianta erano talmente lunghe da raggiungere  le profondità degli inferi e mettere in contatto i due mondi. Questa credenza era inoltre confermata dal fiore della fava, bianco con sfumature violacee e una macchia nera che ricordava la lettera theta, dell’alfabeto greco e iniziale della parola thànatos, ovvero morte.

In Calabria cosi, come in altre regioni, si mantenne per alcuni anni la tradizione di recarsi al cimitero e mangiare le fave dinnanzi alla tomba dei propri cari durante il banchetto. Il grano dei morti è un altro dolce tipico per il giorno dei morti in Calabria e in Lucania.Si prepara con i chicchi di grano tenero, lessati e conditi con mosto cotto, acini di melagrana, cioccolato, canditi e noci. Mangiare il grano nel giorno dei morti aveva un significato propiziatorio e di buon auspicio. La metafora del grano è molto interessante riguardo la relazione tra vita e morte. Per raccogliere il chicco di grano, simbolo di vita e fertilità in molte religioni, bisogna rompere la spiga, dunque ucciderla. Il chicco stesso di grano rinascerà in spiga solo dopo esser morto sottoterra. Per questo motivo, in questo circolo continuo di nascita e morte il chicco viene proclamato il simbolo duplice di vita e morte, la vita che nasce dalla morte.

in Sardegna i bambini girano per il paese  bussando alle porte e chiedendo “is animasa” con un sacco o una federa. Per l’occasione le famiglie preparano apposta dei dolci tipici di saba(vin cotto) Papassinaspane nero, come lo chiamano alcuni tra i mannos, per offrirli ai bambini che bussano alle porte chiedendo: “Si onada a is animasa?”. Le donne fanno cadere nel sacco pane, noci, frutta o dolci, le persone che mangeranno quei doni faranno sì che questi giungano al morto, il quale mangerà tramite loro.

Da zona a zona cambia il nome della festività ma non la valenza che le si attribuisce: "Su bene  e  is animasis animas, o su mortu mortu" in Barbagia. In alcune zone della Sardegna vengono esposte delle zucche arancioni, per lo più in Barbagia dove le usanze restano per lo più fedeli a quelle che furono nei tempi andati, facendo tornare alla mente l’antico rito praticato sia in Sardegna che in Corsica: cioè quello prendere i crani dal cimitero per far piovere, il cranio in seguito venne sostituito da una zucca che ne richiama le fattezze.

Oltre i noti Papassini tra i dolci del periodo ricordiamo Su pan'e saba che è un dolce antico, che nasce come pan'e saba semplice detto anche "povero" perchè era un pane , proprio un pane, impastato con la saba che lo rendeva un pane dolce e quindi veniva consumato come dolce. questo in tempi lontani, man mano si è evoluto ed è stato arricchito a seconda dei prodotti presenti nel territorio. Meana Sardo è una località montana dove c'è produzione di noci e nocciole ecco quindi che viene arricchito con tanta frutta secca.

La sera della vigilia si accendono dei lumini e si lasciano la tavola apparecchiata e le credenze aperte.

In Puglia, in una zona che abbraccia il nord barese e il foggiano, per il 2 novembre molte famiglie preparano ancora la Colva o grano dei morti. È tutto sommato una versione pugliese del grano dei morti calabrese, una sorta di pseudomacedonia autunnale dalla laboriosa preparazione e con un marcato simbolismo: raffigura la bontà e la benevolenza dei defunti e delle loro divinità. In Grecia indica una vivanda che viene offerta dopo la messa da requiem a glorificazione del defunto e era tradizione consumarlo sulla tomba fino a 40 giorni dopo la morte del caro. In Grecia il piatto è a base di grano cotto, spesso unito al melograno, all’uva passa, alla farina e allo zucchero e la ricetta pugliese è molto simile. La preparazione inizia il 1 novembre con l’ammollo del grano per terminare il 2 con l’aggiunta di tutti gli altri ingredienti. Ogni elemento usato nella golosa miscela fa parte del corredo simbolico che lega la morte alla vita e ciascuno è messo nella ciotola non a caso: il grano cotto rappresenta i defunti, i canditi o l’uva bianca sono la loro anima, i chicchi di melograno ricordano i loro occhi, le noci il loro cervello, il vincotto di fichi è il loro sangue, il cioccolato è la fertilità della loro esperienza terrena.

Le fanfullicchie sono Caramelle di zucchero aromatizzate, attorcigliate su se stesse e colorate, vengono vendute il 2 novembre davanti ai cimiteri salentini, per la gioia dei bambini pugliesi, il dolce tipico della festività dei morti nel bellissimo Salento.

In Abruzzo, oltre all’usanza di lasciare il tavolo da pranzo apparecchiato, si lasciano dei lumini accesi alla finestra, tanti quante sono le anime care, e i bimbi si mandano a dormire con un cartoccio di fave dolci e confetti come simbolo di legame tra le generazioni passate e quelle presenti. Le ossa di morto sono biscotti di consistenza dura che hanno la forma allungata a somiglianza di un dito di una persona. La pizza di magro viene realizzata con la farina lievitata e impastata con peperoni arrosto ed alici sotto sale. Si racconta che le anime dei cari estinti si ripresentassero nelle loro case, alle prime ore del primo novembre, abbandonando temporaneamente l’oltretomba. Per offrire loro ristoro e per rendere omaggio durante queste visite, i parenti apparecchiavano la tavola dei morti con pasta all’uovo, una coscia di pollo, della zucca, vino e gassosa. E’ come se i defunti dovessero accomodarsi in compagnia dei loro parenti ancora in vita. Infatti, gli anziani, si svegliavano nelle prime ore della notte e consumavano questo cibo.

Chiudiamo con un sorriso che ci arriva da Napoli e dal suo proverbiale sarcasmo distribuito anche nell’arte pasticcera. Si parla infatti di torrone. Ma nella versione proposta in questa ricorrenza il torrone non è morbido e non c’è traccia di miele nell’impasto. L’ingrediente comune è infatti il cioccolato con le sue varianti: al caffè, al gianduia o alla crema di nocciole. Il dolce viene servito a fette e per l’associazione irriverente a una cassa da morto viene chiamato esplicitamente O’ Morticiello.

Le nostre tradizioni affondano le loro radici in culture antiche, nella storia e nei riti più antichi ed è un peccato che si si facciano propri costumi che non ci appartengono, mirati al consumo più che a ogni altra cosa dimenticando ciò che è nostro e frutto di cultura millenaria.