Dal punto di vista nutrizionale, vi è un riconoscimento dell’apporto calorico del miele che lo vede perciò valorizzato soprattutto nelle aree centro-settentrionali dell’Europa, più esposte a lunghi inverni e con una minore disponibilità di alternative zuccherine. Cibo calorico e di facile digeribilità, è base dell’alimentazione di malati, bambini (di famiglia ricca), eremiti, militari (come razione di sussistenza) e per i periodi di parziale digiuno dei monaci.
Continua dall’epoca romana la tradizione di vini mielati e dell’idromele, che nei paesi nordici diventa ora parte dei consumi quotidiani di larghe fasce della popolazione.
Quando si mise ordine tra i sapori
Il miele è anche usato in medicina, soprattutto nel contesto della medicina galenica, che ritiene il corpo umano costituito di un insieme di umori a cui sono associate le qualità fondamentali di caldo, freddo, secco e umido. La medicina galenica è finalizzata a tenere queste qualità in equilibrio, correggendo gli eccessi e compensando le mancanze. Al miele viene attribuita la qualità del caldo e del secco.
Dopo il 1900 iniziò la grande espansione dell’industria dello zucchero, che portò la produzione ad aumentare di 20 volte tra il 1850 e il 1950. Nella prima metà dell’Ottocento i prezzi dei due prodotti si pareggiarono in Inghilterra, mentre nell’Italia del Nord il miele era ancora più economico dello zucchero intorno al 1860.Nel 1806 Napoleone mise in atto un blocco continentale per ostacolare i commerci con la nemica Inghilterra, la principale esportatrice di zucchero di canna. Ma il bisogno di zucchero era cresciuto e per supplirvi si dovette ricercare un’alternativa alla canna da zucchero, cosa che avvenne in modo particolarmente intenso negli Stati sotto l’influenza di Napoleone: Francia, Confederazione del Reno e Regno d’Italia: la barbabietola, appunto. Fu uno dei momenti in cui l’apicoltura sembrò uscire dalla sua marginalità e assumere una valenza economica, tinta addirittura di una connotazione patriottica. Il trattato di apicoltura del Savani (1811) rispecchia il momento: “l’esorbitante prezzo degli zuccari non permette ormai alla maggior parte della popolazione di poterne più far uso”.
Veniva proposta un’apicoltura semi-razionale (quella propriamente razionale inizierà, come abbiamo visto, alla metà del secolo), che rinunciasse alla pratica dell’apicidio e producesse un miele di maggiore qualità, tramite “castrazione”, il prelevamento selettivo dall’alveare di favi contenti solo miele.
Alla scoperta dello spazio-ape e all’invenzione dello smelatore seguì, a fine secolo, un’altra invenzione che andava nella direzione di produrre un miele sempre più pulito e libero da sostanze e sapori estranei: nel 1875 l’abate Collin perfezionò l’escludiregina, una griglia che, permettendo il passaggio delle api ma non della più voluminosa regina, permetteva di produrre miele in una sezione dell’alveare, evitando che nei favi riservati allo stoccaggio del miele da parte delle api fosse anche presente covata.
Ma è solo negli anni 70 che si gettano le basi scientifiche per mettere in atto una caratterizzazione dei mieli uniflorali, con le prime analisi melissopalinologiche, l’esplorazione e la quantificazione dei granuli pollinici rimasti come residuo in un miele, per dimostrarne la provenienza.
Nel 1982 è stata recepita in Italia la Direttiva Comunitaria 74/409 che definisce i criteri generali di composizione del miele e prevede la possibilità di dichiararne l’origine botanica. Non venivano però forniti i mezzi per identificare i mieli uniflorali. Nel 1982 verranno pubblicate – a cura dell’ Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria e dell’ Istituto Nazionale di Apicoltura – dodici schede di caratterizzazione di altrettanti mieli monoflorali italiani.
Nel frattempo, nel 1979, Michel Gonnet aveva tenuto a Finale Ligure, il primo corso in Italia di analisi sensoriale del miele. Nel 1981 nasce, a Castel San Pietro Terme, il Concorso nazionale per i mieli di qualità dedicato a Giulio Piana. Il regolamento,che prevedeva inizialmente un’unica graduatoria indipendentemente dalla tipologia di miele, fu cambiato nel 1986 introducendo il metodo ideato da Michel Gonnet allo scopo di far confluire la varietà di valutazioni soggettive in una serie di criteri condivisi e confrontabili.
Sull’esempio di Castel San Pietro sono nati in seguito tutta una serie di concorsi.
Nel 2000 è uscita una nuova edizione aggiornata e arricchita delle schede di caratterizzazione dei mieli.
Dopo una fase in cui i mieli uniflorali hanno costituito la “nobiltà” del miele, oggi è cominciata una tendenza a valorizzare anche i mieli millefiori, in genere sottolinendone le specificità territoriali.
E’ in corso un tentativo, finora molto elitario, di accreditare il miele in gastronomia.
Alla fine degli anni ’70 inizia anche una valorizzazione del miele come alimento sano, inizialmente attribuendo a ogni miele diverso una diversa proprietà farmacologica.