Dolci arabi… tipicamente nordici        
Una tradizione di pasticceria si mantiene per tutto il Medio Evo. Sono di derivazione araba dolci a base di frutta secca come il torrone e il panforte, ma anche quelli a base di farina e spezie, diffusi soprattutto nel  Nord Europa, le cui ricette vennero importate verso il 1100 dai Crociati di ritorno dalla prima Crociata: il tedesco Lebkuchen, il francese Pain d’épices, l’inglese Gingerbread, gli svizzeri Basler Leckerli, il Panpepato.
 
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Dal punto di vista nutrizionale, vi è un riconoscimento dell’apporto calorico del miele che lo vede perciò valorizzato soprattutto nelle aree centro-settentrionali dell’Europa, più esposte a lunghi inverni e con una minore disponibilità di alternative zuccherine. Cibo calorico e di facile digeribilità, è base dell’alimentazione di malati, bambini (di famiglia ricca), eremiti, militari (come razione di sussistenza) e per i periodi di parziale digiuno dei monaci.
Continua dall’epoca romana la tradizione di vini mielati e dell’idromele, che nei paesi nordici diventa ora parte dei consumi quotidiani di larghe fasce della popolazione.
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Quando si mise ordine tra i sapori     

 

 

 

 

In termini di gusto, mentre nell’alto e pieno Medioevo la dolcificazione non è oggetto di un entusiasmo particolare, alle soglie del Rinascimento diventa una vera e propria moda presso le aristocrazie europee, sull’onda dell’ormai consolidato successo dello zucchero. Il contesto è quello della creazione di intingoli dai sapori ibridi, che pervadono l’intera sequenza di portate di un pasto, divenuto, per arditezza di sapori e ricchezza di colori, un evento spettacolare, destinato soprattutto a suscitare stupore: i sapori originari dei cibi vengono coperti, e solo nel XVI secolo si arriverà a una separazione dei sapori, spostando il dolce a fine pasto.17

Il miele è anche usato in medicina, soprattutto nel contesto della medicina galenica, che ritiene il corpo umano costituito di un insieme di umori a cui sono associate le qualità fondamentali di caldo, freddo, secco e umido. La medicina galenica è finalizzata a tenere queste qualità in equilibrio, correggendo gli eccessi  e compensando le mancanze.  Al miele viene attribuita la qualità del caldo e del secco.

 
Quando il miele fu patriottico    
Dalla fine del 1600 ai primi dell’Ottocento venne sviluppata nelle isole caraibiche la coltivazione della canna da zucchero, mentre in Europa fu la barbabietola (Beta vulgaris) a essere provata, tra la metà del ‘700 e i primi dell’’800. Lo zucchero divenne di uso comune (cioè non limitato alle classi ricche) solo in pieno ‘700.

Dopo il 1900 iniziò la grande espansione dell’industria dello zucchero, che portò la produzione ad aumentare di 20 volte tra il 1850 e il 1950. Nella prima metà dell’Ottocento i prezzi dei due prodotti si pareggiarono in Inghilterra, mentre nell’Italia del Nord il miele era ancora più economico dello zucchero intorno al 1860.Nel 1806 Napoleone mise in atto un blocco continentale per ostacolare i commerci con la nemica Inghilterra, la principale esportatrice di zucchero di canna. Ma il bisogno di zucchero era cresciuto e per supplirvi si dovette ricercare un’alternativa alla canna da zucchero, cosa che avvenne  in modo particolarmente intenso negli Stati sotto l’influenza di Napoleone: Francia, Confederazione del Reno e Regno d’Italia: la barbabietola, appunto. Fu uno dei momenti in cui l’apicoltura sembrò uscire dalla sua marginalità e assumere una valenza economica, tinta addirittura di una connotazione patriottica. Il trattato di apicoltura del Savani (1811) rispecchia il momento: “l’esorbitante prezzo degli zuccari non permette ormai alla maggior parte della popolazione di poterne più far uso”.22

Dopo un lungo sonno, l’apicoltura, che con lo sviluppo scientifico del  ‘600 e‘700 aveva rinnovato una conoscenza dell’alveare rimasta bloccata per secoli alla visione di Aristotele, cominciò a rifiorire. L’attivismo del Savani (come quello di altri suoi contemporanei) era volto a sradicare l’uso dell’apicoltura villica, il cui prodotto, “succido e schifoso che macellando le api si ottiene”, era ottenuto spremendo favi contenenti anche polline e covata.

Veniva proposta un’apicoltura semi-razionale (quella propriamente razionale inizierà, come abbiamo visto, alla metà del secolo), che rinunciasse alla pratica dell’apicidio e producesse un miele di maggiore qualità, tramite “castrazione”, il prelevamento selettivo  dall’alveare di favi contenti solo miele.
Alla scoperta dello spazio-ape e all’invenzione dello smelatore seguì, a fine secolo, un’altra invenzione che andava nella direzione di produrre un miele sempre più pulito e libero da sostanze e sapori estranei: nel 1875 l’abate Collin perfezionò l’escludiregina, una griglia che, permettendo il passaggio delle api ma non della più voluminosa regina, permetteva di produrre miele in una sezione dell’alveare, evitando che nei favi riservati allo stoccaggio del miele da parte delle api fosse anche presente covata.

     

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Quando il miele diventò "i mieli"       
Nella prima metà del Novecento si sviluppa una maggiore attenzione alla provenienza botanica dei mieli: qualcosa di cui si era tutto sommato sempre parlato, diventò una vera proposta commerciale. In Italia fu soprattutto  Don Giacomo Angeleri, figura prominente dell’apicoltura italiana, a farsene promotore. Fin dal 1927, sulle pagine della rivista “L’Apicoltore Moderno”, scriveva: “Idealmente, il miele dovrebbe esser venduto tal quale la natura ce lo dà e lo trasforma, e venduto sotto il nome che gli viene dal fiore che lo produce”.

Ma è solo negli anni 70 che si gettano le basi scientifiche per mettere in atto una caratterizzazione dei mieli uniflorali, con le prime analisi melissopalinologiche, l’esplorazione e la quantificazione dei granuli pollinici rimasti come residuo in un miele, per dimostrarne la provenienza.
Nel 1982 è stata recepita in Italia la Direttiva Comunitaria 74/409 che definisce i criteri generali di composizione del miele e prevede la possibilità di dichiararne l’origine botanica. Non venivano però forniti i mezzi per identificare i mieli uniflorali. Nel 1982 verranno pubblicate  – a cura dell’ Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria e dell’ Istituto Nazionale di Apicoltura – dodici schede di caratterizzazione di altrettanti mieli monoflorali italiani.
Nel frattempo, nel 1979, Michel Gonnet aveva tenuto a Finale Ligure, il primo corso in Italia di analisi sensoriale del miele. 
25Nel 1981 nasce, a Castel San Pietro Terme, il Concorso nazionale per i mieli di qualità dedicato a Giulio Piana. Il regolamento,che prevedeva inizialmente un’unica graduatoria indipendentemente dalla tipologia di miele, fu cambiato nel 1986 introducendo il metodo ideato da Michel Gonnet allo scopo di far confluire la varietà di valutazioni soggettive in una serie di criteri condivisi e confrontabili.

L’albo degli esperti in analisi sensoriale del miele nacque nel 1988, in occasione dell’ottava edizione del concorso di Castel San Pietro, collegato anche all’esigenza di formare gruppi di esperti valutatori.
Sull’esempio di Castel San Pietro sono nati in seguito tutta una serie di concorsi. 
Nel 2000 è uscita una nuova edizione aggiornata e arricchita delle schede di caratterizzazione dei mieli.
Dopo una fase in cui i mieli uniflorali hanno costituito la “nobiltà” del miele, oggi è cominciata una tendenza a valorizzare anche i mieli millefiori, in genere sottolinendone le specificità territoriali.
E’ in corso un tentativo, finora molto elitario, di accreditare il miele in gastronomia.
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Alla fine degli anni ’70 inizia anche una valorizzazione del miele come alimento sano, inizialmente attribuendo a ogni miele diverso una diversa proprietà farmacologica.
Oggi questa visione, non basata su nessun fondamento dimostrabile, è ormai decaduta. Rimane, dal punto di vista nutrizionale, il grande valore attribuito al miele come miscela naturale di zuccheri semplici di facile digeribilità. E anche il suo uso, che comincia ad essere clinicamente accreditato, nella guarigione di ferite e ustioni, oltre che una grande varietà di applicazioni cosmetiche.
Marco Moretti apicoltore