festa dei morti ( parte2)

Proseguiamo il nostro tour delle tradizioni legate al culto dei defunti che tra il sacro e il profano caratterizzano le varie regioni d'Italia. In alcune zone della Lombardia, la notte tra l'1 e il 2 novembre si usa ancora mettere in cucina una caraffa di acqua perché i morti possano dissetarsi. Un dolce tipico del periodo sono i Meini dei morti, biscotti preparati con ingredienti semplici, il cui ingrediente base è  la farina di mais. Non sono molto conosciuti fuori dal territorio lombardo ma sono di una bontà senza eguali. I Meini venivano preparati in origine solo a Lodi  il 23 aprile, giorno dedicato a San Giorgio, ma sono stati adottati dai fornai di tutta la regione. Il loro nome deriva da miglio, utilizzato per fare il pane e venne successivamente trasformata in ricetta dolce, da questo pan de mej. Pan meino o pammeino, panigada, pan dei poveri, pan melghino… sono tutti i nomi con cui si propone il pane dolce tipico della Lombardia.

Come indica il termine mei, dovrebbe essere preparato con farina di miglio, ma dal ‘700 circa lo si confeziona miscelando solo farina di grano e farina di mais. Mentre il frumento e la segale venivano usati per "far schei", il miglio, cereale più povero, veniva macinato ed usato per il pane: ne risultava un pane dolciastro, da mangiare caldo, poiché raffreddandosi induriva. Ecco che il pan de mej, in Lombardia, risultava il pane più consumato e, per ammorbidirlo, lo si bagnava con il latte o con la panna, che non mancavano grazie ai tanti allevamenti di bovini.

Oggi è venduto in panetteria o dai pasticceri sotto forma di focacce rotonde, schiacciate, scarsamente lievitate, cosparse di fiori di sambuco essiccati (la paniga). 

Le Fave triestine nascono dall’esigenza di utilizzare le mandorle avanzate da altre preparazioni. Per tradizione, infatti, è la zona del Carso a produrre le mandorle per tutta la regione e la raccolta di ottobre dava modo ai pasticceri locali di sperimentare nuove ricette con i residui. Così nascono le fave di Trieste, piccole palline colorate dall’aspetto allegro e invitante, diventate il dolce tipico della commemorazione del 2 novembre per i vivi. Ai morti in Friuli era uso lasciare un lume acceso, un secchio d’acqua e un po’ di pane.

In Trentino le campane suonano per molte ore a chiamare le anime che si dice si radunino intorno alle case a spiare alle finestre. Per questo, anche qui, la tavola si lascia apparecchiata e il focolare resta acceso durante la notte. I cavalli dei morti sono dolci che si consumano in Trentino rifacendosi al culto greco della dea Epona, protettrice degli equini su cui le anime avrebbero cavalcato verso l’oltretomba

Anche in Piemonte e in Val D’Aosta le famiglie lasciano la tavola imbandita e si recano a far visita al cimitero. I valdostani credono che dimenticare questa abitudine significhi provocare tra le anime un fragoroso tzarivàri (baccano).

Passiamo alle Marche dove troviamo il Bostrengo che ha origini certamente contadine. Questo dolce, infatti viene preparato con ingredienti poveri che si trovano facilmente in dispensa come le mele, le noci, il riso, il pane e il miele. Si serve a quadratini e cosparso di zucchero a velo. Umile ma semplicemente delizioso.

In Umbria si producono tipici dolcetti della devozione a forma di fave, gli Stinchetti dei Morti, che si  usa consumare nella ricorrenza dei morti da antichissimo tempo quasi a voler mitigare il sentimento di tristezza e sostituire le carezze dei cari che non ci sono più. Sempre in Umbria si svolge ancora oggi la Fiera dei Morti, una sorta di rituale che simboleggia i cicli della vita.

A Roma la tradizione voleva che, il giorno dei morti, si consumasse il pasto accanto alla tomba di un parente per tenergli compagnia. Altra tradizione romana era una suggestiva cerimonia di suffragio per le anime che avevano trovato la morte nel Tevere. Al calar della sera si andava sulle sponde del fiume al lume delle torce e si celebrava il rito.

Sembrerebbe che il denominatore comune sia un voler esorcizzare la morte con dolciumi dai nomi, spesso, raccapriccianti e pratiche ben lontane dall'origine sacra dell'evento. 

Nella descrizione certamente abbiamo dimenticato qualcosa: se questo è successo è perchè il patrimonio culturale delle tradizioni italiane è troppo variegato e vasto per poterlo illustrare in uno spazio cosi ristretto.


 

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